IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento n. 2616/90 r.g.g.i.p., promosso nei confronti di Battaglino Francesco, imputato di rapina pluriaggravata e altro, per fatti accertati in agro di Margherita di Savoia, il 4 ottobre 1990, detenuto in attesa di giudizio di primo grado; OSSERVA IN FATTO A seguito di ricognizione fotografica, effettuata, presso la p.g. di Cerignola, da parte della persona offesa dal reato per cui si procede, il Battaglino veniva tratto in arresto, con ordinanza dispositiva di custodia cautelare inter moenia. Il p.m. avanzava richiesta di rinvio a giudizio e l'imputato, rinunciando all'udienza preliminare, chiedeva il giudizio immediato a norma degli artt. 453, terzo comma, e 419, quinto comma. Doveva in conseguenza farsi applicazione dell'art. 419, sesto comma, che vincola il g.i.p. all'emanazione del decreto di giudizio immediato, e non consente al p.m. di interloquire sulla scelta del rito operata dall'imputato. La norma - nella parte in cui non prevede che il g.i.p. emette decreto di giudizio immediato, su richiesta dell'imputato, quando la prova appare evidente - sembrava incostituzionale perche' in conflitto con gli artt. 3; 112; 101,p secondo comma; 102, primo comma; 107, terzo comma della Costituzione. Si profilava, pertanto, la necessita' di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 419, sesto comma, trattandosi di norma di indispensabile applicazione nel procedimento in corso. RILEVA IN DIRITTO Il codice Vassalli delinea un sistema processuale dalla fisionomia inconfondibilmente accusatoria, basato, cioe', sulla assoluta ed inderogabile parita' delle parti. In coerenza con le premesse, l'accusa e la difesa non dovrebbero aver modo di condizionarsi reciprocamente nella scelta del rito; la praticabilita' delle loro opzioni dovrebbe risultare condizionata a presupposti identici; il potere-dovere di verificare la sussistenza delle condizioni sostanziali delle strategie processuali prescelte dovrebbe spettare solo ad un giudice terzo. I canoni che precedono si riflettono perfettamente nelle norme disciplinanti il ricorso ai riti alternativi dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, e del giudice abbreviato - per i quali l'iniziativa dell'imputato o la scelta operata dal p.m., in forma di assenso-controllo, - possono sempre esser superate dal giudice, che non ne e' mai vincolato - ma non in quelle riguardanti il giudizio immediato, con evidente lesione di piu' di una norma costituzionale (artt. 3; 112; 101, secondo comma; 102, primo comma; 107, terzo comma della Costituzione). Nell'applicazione della pena su richiesta l'iniziativa puo' partire indifferentemente dall'imputato o dal p.m., con reciproca possibilita' di un dissenso che il p.m. e' tenuto a motivare e l'imputato no, mentre nel giudizio abbreviato, rimanendo l'iniziativa riservata all'imputato, il dissenso puo' essere solo del p.m., con conseguente, maggiore necessita' di una motivazione. La possibilita' che le parti interloquiscano tra loro deriva dalle conseguenze quoad poenam dell'opzione praticata, mentre e' proprio la mancanza di riflessi sostanziali a far si' che, invece, per il giudizio immediato non si prevedano, come prodromi necessari della decisione del giudice, accordi o tentativi di accordo delle parti. In questo caso il g.i.p. e' adito direttamente dal p.m. - che deve aver interrogato l'indagato e dimostrato l'evidenza della prova raggiunta - o dall'imputato che, in seguito alla richiesta di rinvio a giudizio, puo' rinunciare all'udienza preliminare. Se la riconducibilita' alla sola sfera processuale degli effetti della scelta del rito immediato spiega la possibilita' di ottenere il relativo decreto "inaudita altera parte", resta pero' del tutto priva di giustificazione, in un sistema caratterizzato da penetranti conrolli giurisdizionali, la circostanza che l'iniziativa dell'imputato possa, senza alcun condizionamento, alterare la normale sequenza procedurale e vincolare il giudice per le indagini preliminari. Di fronte ad una simile scelta normativa appare con evidenza la posizione di favore del p.m. (art. 3 della Costituzione) che deve dimostrare l'evidenza probatoria, se vuole ottenere il decreto di giudizio immediato, ma puo' esser trascinato in dibattimento senza argini, rimanendo vincolato alla scelta del rito operata dall'imputato. Giova a tale proposito ricordare che sono proprio i giudici della Consulta a chiarire l'incostituzionalita' dei meccanismi normativi che consentono un condizionamento reciproco delle parti in ordine alle strategie processuali da adottare (sentenza n. 66 del 1990). D'altronde l'art. 419, sesto comma del g.i.p. non pone solo un problema di tutela dell'uguaglianza formale dell'accusa e della difesa. La norma, invero, consente alla persona sottoposta alle indagini di paralizzare il potere del p.m. di proseguire nella ricerca delle prove anche dopo il deposito della richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, terzo comma del g.i.p.), e il potere del g.i.p. di indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si renda necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione (art. 422, primo comma). Ora, se la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato sin dagli anni 70 la stretta connessione esistente tra le norme disciplinanti le modalita' di assunzione della prova e il diritto di difesa, non sembra fuor di luogo, oggi, mutati gli sfondi normativi, esaminare le norme che in concreto limitano la ricerca della prova, in relazione al canone della doverosita' dell'esercizio dell'azione penale (art. 112 della Costituzione). Se e' vero che la rinuncia all'udienza preliminare interviene dopo la richiesta di rinvio a giudizio, e cioe' quando il p.m. ha gia' implicitamente valutato i risultati delle indagini esperite, ritenendole chiuse, e' pur vero, pero', che deve consentirsi all'organo inquirente di cercare le prove proprio quando l'imputato non sospetta piu' che una simile ricerca sia in corso, e quindi piu' incisiva puo' essere l'azione dell'accusa. La limitazione dei poteri dell'imputato sul terreno del giudizio immediato, nel senso della riconduzione dell'operativita' delle sue scelte ad un placet del giudice che valuti evidente la prova raggiunta dal p.m., non equivale ad una enfatizzazione di meccanismi normativi che possono consentire al p.m. percorsi insidiosi per il diritto di difesa, ma corregge quelle scelte legislative attraverso le quali e' filtrata una discrezionalita' di fatto dell'azione penale, che si e' tradotta, oltre che nella pratica obliterazione di un principio costituzionale, anche in una situazione di sovrapposizione dei magistrati inquirenti. La logica della parita' di accusa e difesa va accettata fino in fondo: non si puo' da un lato privare il p.m. del potere di coercizione personale, in omaggio al suo ruolo di parte, e dell'altro impedirgli di determinarsi liberamente nell'individuazione delle strategie processuali da perseguire, consentendo all'imputato di paralizzarne le possibili mosse, anche quando la contrazione della sequenza procedurale non e' giustificata dalla particolare evidenza probatoria raggiunta dalle indagini. Infine, la riconduzione del giudizio immediato a parametri certi, oltre che identici per il p.m. e per l'imputato, implica di necessita' che le scelte delle parti siano sottoposte al controllo del giudice: non renderle suscettibili di alcun sindacato significherebbe negare implicitamente alla prescrizione in tal modo introdotta ogni reale valore giuridico. D'altra parte, sembra sia questa l'unica strada per evitare il condizionamento della funzione giurisdizionale, che nella formulazione attuale dell'art. 419, sesto comma viene ridotta a burocratico automatismo finalizzato a dar esecuzione alle richieste dell'indagato, ed e' privata della discrezionalita' valutativa che le si deve ritenere coessenziale, con evidente lesione degli artt. 102, primo comma; 101, secondo comma e 107 terzo comma della Costituzione. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio il g.i.p. e' l'unico organo che puo' aver chiare dinnanzi a se' le sorti del processo, ed e' quindi l'unico giudice cui sarebbe coerente, oltre che costituzionalmente corretto, attribuire il potere-dovere di verificare la sussistenza delle condizioni sostanziali di ammissibilita' delle strategie processuali pescelte dalle parti. Una valutazione-filtro di questo tipo appare indispensabile non solo per il principio generale dell'indisponibilita' dalle parti delle norme procedurali, e per la tutela dei non pochi interessi pubblici connessi al processo, ma anche, piu' in particolare, perche' non sembra seriamente sostenibile che l'udienza peliminare sia prevista del procedimento solo in funzione di garanzia dell'indagato. Ed invero le finalita' cui risultano orientate le relative previsioni normative traspaiano limpidamente dai lavori preparatori e dalle relazioni, e sono quelle di fungere da strumento decongestionante, di smistamento, di filtro, onde non e' possibile pensare che, solo che l'indagato lo voglia, questo snodo cosi' cruciale per il processo possa essere eliminato. Gli esiti possibili dell'udienza preliminare in primis garantiscono il collegio giudicante: la sentenza di non luogo a procedere, perche' assicura realizzazione a quella esigenza di deflazione dei carichi giudiziari che percorre tutto il codice e ne e' forse la principale scelta ispiratrice, il decreto di rinvio a giudizio perche', pur non condizionando il collegio, tuttavia lo pone di fronte alla circostanza che sui risultati delle indagini preliminari si sono gia' espressi due magistrati, rispettivamente con la richiesta e il decreto di rinvio a giudizio. La possibilita' poi che il g.i.p. sia privato dei poteri previsti dall'art. 422, primo comma, rende ancora piu' evidenti i rischi connessi alla mancanza di un qualsivoglia tipo di argine alla rinuncia che l'indagato faccia all'udienza preliminare. Scardinare i poteri connessi all'udienza preliminare puo' infatti significare l'approdo frettoloso ad un dibattimento che non potrebbe non risentire della circostanza che il processo abbia percorso un iter non fisiologico nei tempi e nelle attivita' demandate ai Magistrati che ne furono investiti. Per le considerazioni che precedono, ricondurre la pronuncia del decreto di giudizio immediato sui binari della discrezionalita' valutativa coessenziale alla funzione giurisdizionale non solo risponde all'esigenza formale di rimuovere vincoli e condizionamenti dell'indipendenza del giudice di dubbia costituzionalita' (artt. 101, secondo comma; 102, primo comma; 107, terzo comma della Costituzione) - il che di per se' sembrerebbe giustificare un intervento correttivo - ma anche da corpo all'esigenza piu' sostanziale di prevedere, in una prospettiva di maggiore coerenza col disegno globale del codice, un meccanismo di controllo giurisdizionale sulla scelta del rito operato dalle parti che garantisca la funzionalita' del processo.